(massima n. 1)
In tema di criminalità organizzata di tipo mafioso, l'accertata esistenza di una regola interna al sodalizio, pur definita «indefettibile» e «inderogabile», in base alla quale sarebbe stato obbligatorio far conoscere ai «capi mandamento» in stato di detenzione gli argomenti sui quali avrebbe dovuto deliberare l'organo di vertice costituito dalla cosiddetta «commissione provinciale», non esime dalla necessità di verificare, ai fini della configurabilità, o meno, a carico dei suddetti capi mandamento, dei gravi indizi di colpevolezza (richiesti dall'art. 273, comma 1, c.p.p.), in ordine a singoli delitti decisi dalla medesima «commissione», se la detta regola sia stata, in concreto, osservata o no. In mancanza di siffatta verifica può quindi configurarsi vizio di motivazione censurabile in sede di legittimità. (Principio affermato in relazione alla ritenuta sussistenza — da parte del giudice del riesame, la cui decisione è stata pertanto annullata con rinvio — di gravi indizi di colpevolezza a carico di un soggetto, qualificato come «capo mandamento della mafia palermitana», al quale, sulla sola base della «regola» anzidetta, si addebitava il concorso nella cosiddetta «strage di Capaci», in cui avevano trovato la morte il giudice Giovanni Falcone, una sua collega e gli uomini della scorta).