(massima n. 1)
L'omissione di atto d'ufficio, di cui all'art. 328 c.p., si realizza con il mancato compimento di un atto rientrante nella competenza funzionale del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio. Qualora per il compimento dell'atto sia prescritto un termine, decorso il quale l'atto non può più produrre i suoi effetti tipici (cosiddetto termine perentorio), il compimento di esso non esclude l'omissione già realizzata; qualora, invece, nonostante il decorso del termine, l'atto possa essere ugualmente compiuto e produrre i suoi effetti tipici (cosiddetto termine ordinatorio), ricorre l'ipotesi del ritardo, atteso che il pubblico ufficiale ha anche l'obbligo di adempiere tempestivamente ai doveri del suo ufficio. (Nella specie, relativa a rigetto di ricorso proposto da ufficiale giudiziario, la Suprema Corte ha ritenuto che la circostanza secondo la quale taluni dei debitori ai quali era stato intimato il precetto di pagamento avevano adempiuto alla loro obbligazione, nonostante il pignoramento non fosse stato eseguito, non esclude la sussistenza del reato di omissione di atti d'ufficio che, per essere diretto ad assicurare il regolare funzionamento della pubblica amministrazione non richiede per la sua configurabilità un danno per la pubblica amministrazione; che il reato di cui all'art. 328 c.p. deve ritenersi realizzato anche dalla ritardata esecuzione dei pignoramenti esecutivi dopo la scadenza del termine di cui all'art. 113 ordinamento degli ufficiali giudiziari dato che il reato anzidetto è integrato dal semplice ritardo dell'atto, indipendentemente dal verificarsi di un eventuale danno per la pubblica amministrazione).