(massima n. 1)
Se il «delitto presupposto» della ricettazione di un'arma si identifica nella «clandestinizzazione», ad opera di terzo, dell'arma stessa, è ravvisabile concorso di reati e non rapporto di «specialità» fra il delitto di detenzione di arma clandestina e quello di ricettazione della stessa. Tale rapporto è insussistente sia per la diversa obiettività giuridica delle fattispecie, sia per il diverso contenuto normativo dei due precetti in presunto conflitto. Il concorso è configurabile anche fra la «clandestinizzazione» (art. 23, terzo comma, seconda ipotesi, L. 18 aprile 1975, n. 110), la detenzione ed il porto dell'arma resa clandestina (art. 23, secondo e terzo comma, prima ipotesi, legge cit.), poiché anche detti reati hanno fisionomie giuridiche diverse, avendo il primo come oggetto l'azione in sé di rendere clandestina l'arma ed il secondo ed il terzo le azioni successive del detenere e del portare l'arma, che, per essere stata «clandestinizzata», imprime a dette azioni una particolare connotazione di pericolosità rispetto alle medesime azioni aventi per oggetto un'arma non privata dei segni di identificazione.