(massima n. 1)
La proposizione di un'opposizione agli atti esecutivi - anche, e a maggior ragione, nel regime successivo alla novella recata dalla legge 24 febbraio 2006, n. 52 - apre un procedimento che deve essere necessariamente svolto in forma contenziosa e deve altresì concludersi con sentenza, sicché l'interprete non può mai discostarsi dal modello così delineato, adottando forme ritenute più idonee e convenienti. Ne consegue che, in mancanza dei requisiti formali e strutturali richiesti per le sentenze (quali il rispetto del principio del contraddittorio, e i requisiti formali dell'indicazione della concisa esposizione dello svolgimento del processo e dei motivi di fatto e di diritto della decisione), nonché in caso di provenienza da un giudice al quale la legge non conferisce il potere di emettere provvedimenti definitivi di chiusura del procedimento, il provvedimento adottato non può avere portata maggiore di quella propria dell'atto esecutivo. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di cessazione della materia del contendere assunta con il provvedimento impugnato, qualificandolo come sentenza - e, dunque, ricorribile per cassazione - in quanto emesso, nel rispetto del contraddittorio e in base ai requisiti formali della sentenza, da giudice che non pronunciava più in sede esecutiva, ma come giudice monocratico di primo grado, avendo disposto, all'esito della fase cautelare del giudizio di opposizione agli atti esecutivi, che si provvedesse all'iscrizione della causa al ruolo contenzioso prima dello svolgimento dell'udienza fissata per la trattazione dinanzi a sé della causa di merito).