(massima n. 1)
Posto che il vizio di motivazione di cui all'art. 360, n. 5, c.p.c. può concernere soltanto una questione di fatto e mai di diritto, il vizio di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, ex art. 360, n. 3, c.p.c., ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a fondamento della decisione (“id est”: del processo di sussunzione), rilevando solo che, in relazione al fatto accertato, la norma non sia stata applicata quando doveva esserlo, ovvero che lo sia stata quando non si doveva applicarla, ovvero che sia stata male applicata, dovendo il ricorrente, in ogni caso, prospettare l'erronea interpretazione di una norma da parte del giudice che ha emesso la sentenza impugnata ed indicare, a pena d'inammissibilità ex art. 366, n. 4, c.p.c., i motivi per i quali chiede la cassazione. (Nella specie, la S.C. ha dichiarato inammissibile la censura con la quale, rispetto alla denuncia di violazione o falsa applicazione di norma di diritto, il ricorrente non aveva spiegato i motivi del perché ritenesse inapplicabile alla fattispecie controversa la norma applicata dal giudice di merito, né aveva illustrato le ragioni per cui la norma stessa sarebbe stata male interpretata dal medesimo giudice, posto che la questione di diritto risolta dalla sentenza impugnata era nel senso che, in caso di affitto di azienda, erano a carico dell'affittuario le spese per rendere possibile l'esercizio dell'impresa alla stregua di norme sopravvenute che impongano requisiti diversi da quelli esistenti al momento della conclusione del contratto e ciò in virtù del richiamo dell'art. 2562 c.c. all'art. 2561 c.c., secondo cui l'usufruttuario d'azienda la deve gestire in modo da conservare l'efficienza dell'organizzazione e degli impianti).