(massima n. 1)
Il collocamento a riposo e la semplice comunicazione dell'operatività della clausola di risoluzione automatica del rapporto di lavoro, al raggiungimento della massima anzianità contributiva, non configurano di per sé un licenziamento, cioè la volontà del datore di lavoro di recedere dal rapporto, cui può conseguire il diritto del lavoratore alla reintegrazione e al risarcimento del danno. Pertanto qualora il giudice di merito abbia disposto la reintegra nel posto di lavoro e il risarcimento, la decisione va corretta in sede di legittimità affermando l'attuazione del diritto del ricorrente alla continuità del rapporto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni; l'importo corrisposto a titolo di retribuzione, peraltro, non deve essere diminuito degli importi eventualmente ricevuti dall'interessato a titolo di pensione, atteso che il diritto al pensionamento discende dal verificarsi di requisiti di età e contribuzione stabiliti dalla legge, sicché le utilità economiche che il lavoratore ne ritrae, dipendendo da fatti giuridici del tutto estranei al potere di recesso del datore di lavoro, si sottraggono all'operatività della regola della compensatio lucri cum damno. (Nella specie, relativa a dipendente postale, la S.C. ha chiarito che la sentenza di merito, pur escludendo, con apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, che l'ente avesse manifestato con il collocamento a riposo una volontà di recedere, aveva erroneamente equiparato la comunicazione datoriale di applicazione della clausola risolutiva espressa al recesso; la S.C. ha corretto la motivazione della sentenza ai sensi dell'art. 384 c.p.c.).