(massima n. 1)
Nell'ipotesi di sospensione contrattuale del rapporto di lavoro (nella quale rientra la sospensione del lavoratore sottoposto a procedimento penale, unilateralmente disposta dal datore di lavoro conformemente a quanto previsto dal contratto collettivo) con esonero del dipendente dalla prestazione lavorativa e obbligo del datore di corrispondere solo parte della retribuzione, la clausola collettiva che riconosce al lavoratore, cessata la causa di sospensione, il diritto al pieno ripristino della retribuzione non percepita, così garantendogli, secondo l'incensurabile interpretazione del giudice di merito, anche il diritto alla rivalutazione sulle somme corrisposte a titolo di integrazione retributiva, non comporta di per sé che su tali somme vadano corrisposti anche gli interessi legali per tutto il periodo della sospensione, in applicazione della disposizione inderogabile di cui al terzo comma dell'art. 429 c.p.c., giacché l'indicata disposizione (che non ha trasformato i crediti di lavoro aventi ad oggetto somme di denaro in crediti di valore, pur svincolandoli dal principio nominalistico) attribuendo, oltre alla rivalutazione, gli interessi legali in funzione compensativa del ritardo con cui il lavoratore riceve quanto dovutogli, con decorrenza dalla maturazione del diritto, presuppone l'esigibilità e perciò la scadenza del credito, prima della quale non è configurabile alcun ritardo da parte dell'obbligato.