(massima n. 1)
Poiché nel nuovo codice di procedura penale non è stata riprodotta la disposizione di cui all'art. 3, secondo comma, del codice abrogato, né sono state reiterate le altre disposizioni alla stessa collegate (artt. 24 ss. dello stesso codice) – con conseguente eliminazione di ogni riferimento alla cosiddetta pregiudiziale penale dal testo dell'art. 295 c.p.c., in occasione della sua riformulazione ad opera della legge n. 353 del 1990 – si deve ritenere che il nostro ordinamento non sia più ispirato al principio, in precedenza imperante, della unità della giurisdizione e della prevalenza del giudizio penale su quello civile e che, invece, sia stato instaurato dal legislatore il diverso sistema della (pressoché) completa autonomia e separazione fra i due giudizi, nel senso che, tranne alcune particolari e limitate ipotesi di sospensione del processo civile previste dall'art. 75, terzo comma, nuovo c.p.p. (azione promossa in sede civile dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado), da un lato, il processo civile deve proseguire il suo corso senza essere influenzato dal processo penale e, dall'altro, il giudice civile deve procedere a un autonomo accertamento dei fatti e della responsabilità (civile) dedotti in giudizio. Tenuto conto di tali modifiche introdotte nell'ordinamento, la disposizione contenuta nell'art. 10, secondo comma, del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 – secondo cui la responsabilità civile per gli infortuni sul lavoro permane, nonostante l'operatività della assicurazione obbligatoria contro gli infortuni stessi, a carico di coloro che abbiano riportato condanna penale per il fatto dal quale è derivato l'infortunio – deve essere interpretata dando particolare rilievo, rispetto all'elemento letterale, alla sua ratio e all'elemento sistematico e, quindi, facendo riferimento alle disposizioni dettate dagli artt. 75 e 651 ss. c.p.c. vigente, con la conseguenza che, in caso di patteggiamento della pena ai sensi dell'art. 444, se è vero che la relativa sentenza, ai sensi del successivo art. 445, primo comma, non ha efficacia nel giudizio civile, è altrettanto vero che il giudice civile, adito dal lavoratore per ottenere il risarcimento del cosiddetto danno differenziale, ha il potere di procedere ad un autonomo accertamento dei fatti al fine di stabilire la responsabilità, o meno, del datore di lavoro, giacché, se si ritenesse il contrario, la norma si porrebbe in palese contrasto con i principi dettati dagli artt. 3 e 24 Cost.