(massima n. 1)
In tema di controversie di lavoro, la disposizione del nono comma dell'art. 420 c.p.c. – relativa ai provvedimenti del giudice, nell'udienza di discussione di primo grado, in ipotesi di chiamata in causa a norma degli artt. 102, 106 e 107 c.p.c. – non implica un automatico obbligo di adozione dei provvedimenti predetti, in quanto il pretore, investito della domanda di chiamata in giudizio di un terzo ai sensi delle norme citate, non è sempre tenuto a fissare una nuova udienza e a disporre le relative notifiche, conservando, secondo i principi generali, il potere di valutare – con i margini di discrezionalità attribuitigli dagli artt. 106, 107, 269, secondo comma, e 270 c.p.c. – la comunanza della causa e le ragioni d'intervento del terzo, restando configurabile un vizio del processo, tale da comportare il rinvio della causa al giudice di primo grado ai sensi dell'art. 383 c.p.c., solo quando il giudice, investito della domanda predetta, si sia sottratto al dovere di esaminarla o abbia comunque omesso di rivelare il difetto del contraddittorio in ipotesi di litisconsorzio necessario.