(massima n. 1)
Il risarcimento del danno mediante reintegrazione in forma specifica può esplicarsi nella eliminazione di quanto illecitamente fatto e che risulti identificato con la fonte esclusiva o concorrente di un danno attuale, continuo e destinato a protrarsi con certezza nel tempo, senza che per la legittimazione a richiedere la riduzione in pristino di una cosa sulla quale è stata esercitata l'attività dannosa, occorre dimostrare di esserne proprietario, essendo sufficiente che tra l'attore e la cosa sussista una relazione, concretantesi anche solo nell'esercizio di un potere di fatto, tale che dal danneggiamento l'attore resti pregiudicato. (Nella specie la S.C. in applicazione dell'enunciato principio ha annullato la decisione dei giudici del merito che avevano ritenuto che la riduzione in pristino richiesta dal proprietario di un fondo nei confronti del proprietario confinante che vi aveva accumulato terra di riporto a seguito di lavori compiuti sul proprio fondo poteva essere conseguita solo attraverso l'esperimento di un'azione a tutela di un diritto reale e la previa dimostrazione della sussistenza della titolarità relativa).