(massima n. 1)
In tema di procedimenti in camera di consiglio, l'art. 742 c.p.c., disponendo che i decreti possono essere in ogni tempo modificati o revocati, restando salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi, in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca, prevede, ai fini della tutela dei diritti dei terzi, una situazione negoziale che si svolge secondo un ordine cronologico rigoroso, costituito dal provvedimento del giudice, dalla convenzione e poi dal decreto di modificazione o di revoca e ricollega la buona fede del terzo, che deve sussistere al momento della convenzione, alla preesistenza del provvedimento poi modificato o revocato. Pertanto, la norma non trova applicazione nei casi in cui il provvedimento del giudice, anziché anteriore, sia successivo alla convenzione dalla quale derivano i diritti di cui il terzo richiede la tutela. La possibilità di modificazione o di revoca dei provvedimenti pronunziati in camera di consiglio, la quale è giustificata dalla mancanza della cosa giudicata in relazione al loro contenuto non decisorio, non trova limiti neanche nel compimento del negozio rispetto al quale quel provvedimento funziona da presupposto. In tal caso il rigore del principio, che indurrebbe all'annullamento del negozio per il venire meno del suo presupposto, è temperato dall'esigenza della tutela del diritto acquistato dal terzo di buona fede. Siffatta tutela, è, peraltro, ricollegata all'esistenza del provvedimento che ne costituisce il presupposto necessario e indefettibile. In sua mancanza, non è neanche ammissibile un'indagine sulla buona fede del terzo nel caso concreto, non essendo questa in alcun modo configurabile o ipotizzabile.