(massima n. 1)
In tema di responsabilitą civile (nella specie: contrattuale ed extracontrattuale da attivitą medico-sanitaria), laddove il danneggiato, prima dell'evento, versi in pregresso stato di vulnerabilitą (o di mera predisposizione) ma l'evidenza probatoria del processo, sotto il profilo eziologico, non consente di dimostrare con certezza che, a prescindere dal comportamento imputabile al danneggiante, detto stato si sarebbe comunque evoluto, anche in assenza dell'evento di danno, in senso patologico-invalidante, il giudice in sede di quantificazione del danno non deve procedere ad alcuna diminuzione del "quantum debeatur", posto che, diversamente, darebbe applicazione all'intollerabile principio secondo cui persone che, per loro disgrazia (e non gią per colpa imputabile ex art. 1227 c.c. o per fatto addebitabile a terzi), siano pił vulnerabili di altre, dovrebbero irragionevolmente appagarsi di una tutela risarcitoria minore rispetto agli altri consociati affetti da cosiddetta "normalitą". (Fattispecie in cui, a fronte di riconosciuto nesso causale tra la condotta dei sanitari e della AUSL, per errata diagnosi, ed il pregiudizio psichico subito, "iure proprio" e quali eredi, dai familiari della paziente, poi deceduta, la S.C. ha confermato la sentenza di appello che ha quantificato il danno psichico dei congiunti senza considerare i loro presunti processi patologici pregressi, in ipotesi originati da fattori diversi dalla reazione alla malattia della defunta).