(massima n. 1)
Al curatore fallimentare non è consentito agire in revocatoria per far dichiarare inopponibile alla massa una causa di prelazione (nella specie, pegno) in forza della quale un determinato credito sia stato già definitivamente ammesso al passivo in via privilegiata, atteso che soltanto lo scopo di modificare lo stato passivo, retrocedendo quel credito al rango chirografario, potrebbe sorreggere una tale azione, ma questo effetto non sarebbe raggiungibile senza la modificazione dello stato passivo, preclusa al di fuori dei rimedi previsti dagli artt. 98 ss. legge fall. Tale principio manifestamente non contrasta con l'art. 24 Cost. (potendo, semmai, dubitarsi della legittimità costituzionale dell'art. 100 legge fall. ove interpretato nel senso che al curatore non sia consentito esperire il rimedio ivi previsto) e trova applicazione anche con riferimento al commissario della procedura di liquidazione coatta amministrativa (quantomeno allorché la dichiarazione dello stato di insolvenza, presupposto dell'azione revocatoria, abbia preceduto la formazione dello stato passivo da parte del commissario), non ostandovi la natura amministrativa, e non giurisdizionale, dello stato passivo formato dal commissario, che del pari produce effetti preclusivi, i quali non derivano dalla natura di tale atto, bensì dalla struttura stessa del procedimento concorsuale in cui si colloca, dalla sua concatenazione con adempimenti successivi da compiersi nel procedimento e dalle esigenze di certezza, stabilità e celerità a ciò inerenti, tanto più che i limiti che, analogamente al curatore, incontra il commissario, si ricollegano, nella specie, anche al generale divieto del venire contra factum proprium e si sostanziano nell'impossibilità di agire giudizialmente per far revocare una causa di prelazione in precedenza dallo stesso commissario già riconosciuta nella formazione dello stato passivo.