(massima n. 1)
La previsione di cui all'art. 47ter, comma 1ter, dell'ordinamento penitenziario, introdotta dall'art. 4, comma 1, lett. a), della L. 27 maggio 1998, n. 165, secondo cui, «quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1, può disporre l'applicazione della detenzione domiciliare», ha la chiara finalità di colmare una lacuna della previgente normativa, per la quale, in presenza dei presupposti di fatto indicati negli artt. 146 e 147 c.p., s'imponeva un'alternativa secca tra carcerazione e libertà senza vincoli. L'innovazione viene quindi a configurare la polifunzionalità del regime detentivo che è mirato, per un verso, all'esigenza di effettività dell'espiazione della pena e del necessario controllo cui vanno sottoposti i soggetti pericolosi; per altro verso ad una esecuzione mediante forme compatibili con il senso di umanità, quale è quella costituita dalla detenzione domiciliare a termine, da disporsi in presenza di una negativa condizione soggettiva del condannato che non ne consenta la piena liberazione che deriverebbe dall'applicazione degli istituti di cui ai richiamati artt. 146 e 147 c.p.. È pertanto da escludere, avuto riguardo anche alla chiara lettera della disposizione in questione, che essa possa trovare applicazione sulla base di presupposti diversi da quelli che potrebbero dar luogo al rinvio obbligatorio o facoltativo dell'esecuzione della pena.