(massima n. 3)
La norma dell'art. 30 ter, terzo comma, della legge 26 luglio 1975 n. 354 (c.d. ordinamento penitenziario), introdotta dall'art. 1 del D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito con modificazioni in legge 12 luglio 1991 n. 203 (in base alla quale, fra l'altro, nel caso di condanna per taluno dei delitti previsti dall'art. 4 bis del medesimo ordinamento, la concessione dei permessi è ammessa solo dopo l'espiazione di metà della pena inflitta, e non solo di un quarto, come in precedenza), trova applicazione anche con riferimento a condanne precedenti all'entrata in vigore del citato D.L. n. 152 del 1991, non dando ciò luogo alla violazione del principio di irretroattività della legge penale, stabilito dall'art. 25 Cost. e dall'art. 2 c.p., atteso che tale principio si riferisce unicamente alle norme penali sostanziali e non anche a quelle inerenti alle modalità di esecuzione della pena e all'applicazione di misure alternative o altri benefici in favore del condannato, la cui disciplina resta affidata ai poteri discrezionali del legislatore ordinario. Tuttavia, poiché la concessione dei permessi-premio, che costituisce parte integrante del trattamento, è pur sempre legata alla regolare condotta e all'assenza di pericolosità sociale del condannato, deve ritenersi che, con la previsione di un più ampio limite temporale per la loro fruizione, il legislatore abbia posto una presunzione legale di pericolosità sociale riferita ai condannati per uno dei gravi delitti previsti dal primo comma dell'art. 4 bis. Conseguentemente, se tale presunzione è stata già superata con la concessione, sotto il vigore della precedente normativa, di uno o più permessi-premio, è evidente che l'applicazione della più grave restrizione prevista dalla nuova norma non ha alcun senso e può rivelarsi addirittura deleteria, perché potrebbe interrompere quel programma di trattamento che, in conformità dei principi costituzionali, deve pur sempre tendere alla rieducazione del condannato.