(massima n. 1)
Con riferimento alle dichiarazioni provenienti da uno dei soggetti indicati nei commi terzo e quarto dell'art. 192 c.p.p., il codice non introduce una restrizione al principio del libero convincimento del giudice, ma si limita ad indicare i criteri valutativi da adottare quando si tratta di vagliare le loro dichiarazioni. In ogni caso, distinguendo tra chiamata in correità e dichiarazione accusatoria, occorre precisare che il terzo comma dell'art. 192 c.p.p. si riferisce unicamente alla prima. La chiamata in reità può dunque acquistare valenza di prova diretta alla stessa stregua della testimonianza, senza che possa stabilirsi una gerarchia, tra le due fonti probatorie, ma deve naturalmente superare il vaglio di attendibilità che deve essere particolarmente pregnante in relazione al grado di diffidenza che il dichiarante può suscitare. In ogni caso tali dichiarazioni possono concorrere, quale elemento indiziario, nel rispetto del criterio fissato dal secondo comma dell'art. 192 c.p.p. per la valutazione della prova logica, alla formazione del libero convincimento del giudice, che, per il canone fondamentale fissato dal primo comma, è sempre e necessariamente ancorato all'obbligo di motivazione.