(massima n. 1)
La chiamata di correità, o in reità, può costituire prova della responsabilità penale solo se intrinsecamente attendibile e positivamente riscontrata attraverso elementi oggettivi. Ed invero, i riscontri non possono essere rappresentati da qualsiasi elemento generico relativo al fatto-reato e all'imputato, bensì sono quegli elementi di qualsiasi natura, storica o logica, che compatibili con le altre emergenze processuali e non caducati da esse, sono almeno idonei, in modo causale e rappresentativo, ad avvicinare l'accusato al reato e a qualsiasi momento dell'iter criminis. Nel consegue, peraltro, che la maggiore o minore esigenza di estensione dei riscontri deriva dalla natura dell'indizio da verificare; sia perché la chiamata in correità, in quanto confessione del fatto proprio e altrui, abbisogna di una verifica meno rigorosa di quella necessaria per controllare la chiamata in reità, sia perché il chiamante si pone in condizioni di non essere smentito quando rende incontrollabile l'accusa con il riferimento a soggetti già deceduti o indicati come sconosciuti.