(massima n. 1)
In tema di interpretazione di un atto di costituzione in mora, la sua natura di atto giuridico in senso stretto (nonché recettizio) non consente l'applicabilità diretta ed immediata dei principi sui vizi del volere e della capacità dettati in tema di atti negoziali, ma legittima, purtuttavia, il ricorso, in via analogica, alle regole di ermeneutica, in quanto compatibili, degli atti negoziali stessi (per essere questi ultimi, comunque manifestazioni di volontà i cui effetti sono direttamente determinati dalla norma che li disciplina), con la conseguenza che anche l'attività interpretativa dell'atto di costituzione in mora si traduce in una indagine di fatto istituzionalmente affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità nei soli casi di inadeguatezza della motivazione — tale, cioè, da non consentire la ricostruzione dell'iter logico seguito da detto giudice per giungere all'attribuzione di un certo contenuto (e di una certa significazione) all'atto in esame — ovvero di inosservanza delle norme ermeneutiche compatibili con gli atti giuridici in senso stretto.