(massima n. 1)
L'impugnabilità e l'avvenuta impugnazione di una pronunzia esecutiva di condanna al pagamento di una somma di denaro non esimono il debitore, anche pubblico, dall'ottemperarvi, in quanto una tale pronuncia, pur non ancora consolidata nel giudicato, presuppone comunque la liquidità del credito, ossia la sua esistenza e la determinazione del suo ammontare, e l'esigibilità del medesimo, che consegue all'accoglimento della domanda giudiziale. Ciò appunto autorizza il creditore — oltre a pretendere gli interessi corrispettivi dalla data stessa del deposito della sentenza esecutiva o, nel caso di lodo pronunciato in arbitrato rituale, dalla data della dichiarazione pretorile di esecutività — a mettere, ove lo ritenga, anche in mora il debitore, agli effetti di cui all'art. 1224 c.c. Ad un tal riguardo va precisato che i maggiori danni maturati dopo la pronuncia degli arbitri — conseguendo ad un fatto diverso da quello considerato dal lodo stesso ai fini della condanna alla somma capitale (dei relativi interessi e del danno anteriore alla pronuncia) — ben possono essere chiesti dal creditore in separato giudizio.