(massima n. 1)
A norma dell'art. 385, comma 3, c.p., risponde del reato di evasione l'imputato che, essendo agli arresti nella propria abitazione — intesa come il luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata, con esclusione di ogni altra appartenenza, come aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e spazi simili che non siano di stretta pertinenza dell'abitazione — se ne allontana. Quando, però, nell'ordinanza applicativa degli arresti domiciliari sia inserito uno specifico divieto, la violazione di esso non vale ad integrare il delitto di evasione, ma può produrre soltanto l'effetto della sostituzione, ex art. 296 c.p.p., ad opera del giudice che ha adottato la misura, degli arresti domiciliari con la più gravosa misura della custodia in carcere. (Nella specie, l'ordinanza che aveva disposto gli arresti domiciliari aveva espressamente previsto il divieto di sostare nel cortile ove l'imputato era stato, appunto, sorpreso. La corte ha ritenuto che trattandosi di «prescrizione», la violazione di essa avrebbe potuto dar luogo solo all'operatività del precetto di cui all'art. 296 c.p.p.).