(massima n. 1)
In tema di diffamazione con il mezzo della stampa è configurabile l'esimente dal diritto di satira, distinto da quelli di cronaca e di critica, che mira all'ironia sino al sarcasmo e comunque all'irrisione di chi esercita un pubblico potere, in tal misura esasperando la polemica intorno alle opinioni ed ai comportamenti. La satira è anche espressione artistica in quanto opera una rappresentazione intuitivamente simbolica che, in particolare la vignetta, propone quale metafora caricaturale. Come tale non è soggetta agli schemi razionali della verifica critica, purché attraverso la metafora pure paradossale sia comunque riconoscibile se non un fatto o comportamento storico l'opinione almeno presunta della persona pubblica, secondo le sue convinzioni altrimenti espresse, che per sé devono essere di interesse sociale. Pertanto, può offrirne la rappresentazione surreale, purché rilevante in relazione alla notorietà della persona, assumendone contenuti che sfuggono all'analisi convenzionale ed alla stessa realtà degli accadimenti, ma non astrarsene sino a fare attribuzioni non vere. Sul piano della continenza, infine, il linguaggio essenzialmente simbolico e frequentemente paradossale della satira, in particolare grafica, è svincolato da forme convenzionali, onde non si può applicarle il metro consueto di correttezza dell'espressione. Ma, al pari di ogni altra manifestazione del pensiero, essa non può superare il rispetto dei valori fondamentali, esponendo la persona, oltre al ludibrio della sua immagine pubblica, al disprezzo. (Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto corretta la valutazione del giudice di merito, secondo cui è superato il limite della continenza in una vignetta, che lede la femminilità dell'offesa, raffigurata nell'atto di praticare una “fellatio” al microfono di cui è dotato il seggio senatoriale, la qual cosa suscita disprezzo verso la sua persona).