(massima n. 2)
La casa da gioco gestita da un ente locale non può considerarsi ente pubblico poiché la gestione di tale casa, sia pure istituita per espressa disposizione di legge, non costituisce attività rientrante tra le funzioni del comune, ma è attività di natura esclusivamente privatistica. Il denaro costituente la dotazione del tavolo, e più in generale quello proveniente dall'esercizio della casa da gioco, non può considerarsi appartenente alla pubblica amministrazione. I cosiddetti impiegati di gioco, svolgano essi mansioni di croupier o di capo — tavolo, non rivestono la qualità di pubblici ufficiali, né quella di incaricati di pubblico servizio. Il dipendente comunale che svolge funzioni di vigilanza sull'attività della casa da gioco (cosiddetto ispettore), anche se (a differenza dai croupiers e dai capo — tavolo) legato al comune da rapporto di pubblico impiego, non assume nell'esercizio di tali funzioni la qualità di pubblico ufficiale, né quella di incaricato di un pubblico servizio. (Nella fattispecie si trattava del Casinò di Venezia, gestito direttamente dal comune. La Corte Suprema di Cassazione affermando i principi di cui in massima ha rigettato il ricorso del procuratore generale il quale aveva sostenuto che l'appropriazione del denaro della casa da gioco da parte dei capo — tavolo costituiva peculato e non truffa e che a carico degli imputati sussisteva il reato di istigazione alla corruzione nei confronti del dipendente comunale con funzioni di vigilanza sulla casa da gioco).