(massima n. 1)
La previsione di cui all'art. 328, comma 2, c.p., pur rispondendo alle stesse esigenze che si pongono a base della disciplina del diritto d'accesso di cui alla legge n. 241 del 1990, si colloca su di un piano di tutela diverso rispetto a quest'ultima. In particolare, è da escludersi che la formazione del silenzio-rifiuto per il decorso del termine dei trenta giorni, costituisca, per il solo fatto di consentire al privato di promuovere un giudizio amministrativo, una risposta idonea tale da escludere la rilevanza penale dell'omissione in quanto, se così fosse, risulterebbe inutile e pleonastica la stessa presenza nell'ordinamento della previsione in oggetto. La richiesta del privato, ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 328, comma 2, c.p., deve fondarsi su di una pretesa seria, volta cioè ad ottenere un provvedimento che riconosca un diritto certo del privato. Conseguentemente, non può operare la tutela apprestata dalla norma ogniqualvolta il cittadino conosca le ragioni per cui le sue richieste non vengono soddisfatte, così come avviene, in particolare, quando il preteso diritto sia contestato al punto da costituire oggetto di accertamento in un procedimento giurisdizionale (pendente) promosso dallo stesso privato poiché in tal caso la richiesta non può che essere pretestuosamente rivolta a superare i tempi necessari per ottenere una pronuncia da parte dell'autorità giudiziaria né, d'altra parte, il giudice penale è autorizzato a sindacare il fondamento delle eccezioni sollevate dalla p.a. nel giudizio pendente.