(massima n. 1)
In materia di reati contro la pubblica amministrazione, dopo la modifica introdotta dalla L. 26 aprile 1990, n. 86, risulta confermata la tradizionale distinzione tra concussione e corruzione: nella prima viene in evidenza lo stato di soggezione del cittadino di fronte al titolare di una pubblica funzione o di un pubblico servizio, nella seconda viene in evidenza una trattativa da pari a pari tra cittadino e funzionario, la quale si caratterizza come tale sul piano concreto e funzionale, senza alcun riguardo al momento iniziale della proposta ed alla necessità di individuare l'autore di questa. Ove il reato di concussione venga commesso con abuso dei poteri, si pone un problema di relazione tra gli atti amministrativi adottati, rientranti nella competenza del funzionario, e la controprestazione del privato; pertanto, agli effetti della distinzione dal reato di corruzione, può individuarsi un rapporto sinallagmatico tra le prestazioni e si delinea una situazione di natura oggettiva che — prevalentemente, anche se non esclusivamente, sul piano patrimoniale — vale a qualificare il rapporto soggettivo come paritario (e quindi presumibilmente voluto dal privato) o squilibrato e quindi presumibilmente imposto dal funzionario. Ove il reato di concussione venga commesso con abuso della qualità, non si pone il problema di relazione tra controprestazioni, e lo stato di disponibilità del privato alla promessa o alla dazione di danaro o altra utilità, derivando dalla sola qualifica soggettiva del pubblico ufficiale, non può essere collegata che ad un illegittimo stato di soggezione, nel quale indistintamente possono comporsi aspettative di eventuali benevolenze nella gestione della cosa pubblica o timori di possibili danni, il tutto comunque affidato ad un'autonoma discrezionalità del pubblico funzionario, che vale ad escludere il rapporto paritario con il privato.