(massima n. 1)
La fattispecie criminosa di cui all'art. 316 ter c.p. (inserito dall'art. 4 della legge 29 settembre 2000, n. 300), che sanziona l'indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato, costituisce norma sussidiaria rispetto al reato di truffa aggravata (artt. 640 commi primo e secondo n. 1, 640 bis c.p.), essendo destinata a colpire condotte che non rientrano nel campo di operatività di queste ultime. Ne consegue che la semplice presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere non integra necessariamente il primo delitto ma, quando ha natura fraudolenta, può configurare gli «artifici o raggiri» descritti nel paradigma della truffa e, unitamente al requisito della «induzione in errore» può comportare la qualificazione del fatto ai sensi dell'art. 640 o 640 bis c.p. (In motivazione la Corte ha precisato che anche il silenzio o il mendacio possono integrare l'elemento oggettivo del reato di truffa in relazione, il primo, all'omesso adempimento di un obbligo di comunicazione e, il secondo, allo specifico affidamento che quella condotta può, ex lege, ingenerare. La valutazione sulla connotazione della condotta va effettuata, caso per caso, dal giudice del merito il quale, nella specie, aveva evidenziato che l'imputato, nell'avanzare all'Inps richiesta di indennità di natura assistenziale per propri dipendenti del settore edile rimasti privi di occupazione, non si era limitato ad esporre dati non veritieri, ma aveva corroborato la menzogna attestando l'impossibilità di impiegare diversamente gli operai e tacendo l'esistenza di altri due cantieri. Aveva perciò, correttamente, qualificato il fatto ai sensi dell'art. 640 c.p.).