(massima n. 1)
In tema di peculato, il concetto di disponibilità si riferisce a quei soli poteri giuridici che consentono all'agente, che sia privo del corpus del possesso, di esplicare sulla cosa quegli stessi comportamenti, uti dominus, che vengono a sostanziare la condotta di appropriazione, elemento materiale del delitto di cui all'art. 314 c.p. Non rientrano nel concetto di disponibilità quei poteri del pubblico ufficiale che possono assimilarsi non già alle facoltà del dominus, ma a quelle del creditore in un rapporto obbligatorio e che gli consentono (e, per la natura pubblica del rapporto, gli fanno obbligo) di esigere la prestazione della controparte o di adempiere alla propria, ponendo le premesse per l'adempimento altrui. Non risponde, pertanto, di peculato il pubblico ufficiale che omette di incassare un credito dell'ente che rappresenta e, tanto meno, il pubblico ufficiale che omette di adempiere o adempie irregolarmente la propria prestazione (atto di ufficio), al fine di consentire al privato di evitare il pagamento di tasse, diritti o prestazioni in genere, con ciò arrecando danno patrimoniale all'erario. In tale caso potranno eventualmente ravvisarsi i reati di abuso di atto di ufficio o di omissione di atti di ufficio. (Nella specie è stata annullata con rinvio la sentenza di condanna della corte di appello che aveva ravvisato gli estremi del peculato nel fatto che l'ufficiale giudiziario, mediante l'omessa registrazione di numerose commissioni e di altre operazioni, aveva nascosto allo Stato introiti per diverse decine di milioni, trattenendo per sé il 50 per cento, che avrebbe dovuto versare all'erario, secondo le norme dell'ordinamento degli ufficiali giudiziari e, comunque, impedendo agli organi di controllo di verificare l'ammontare complessivo dei proventi riscossi, derivandone un ulteriore danno per lo Stato che, ignorando i reali introiti dell'ufficiale giudiziario, gli corrispondeva la prevista indennità integrativa).