(massima n. 1)
La cosiddetta apparenza di diritto — la quale può assumere sia la forma dell'apparenza pura, caratterizzata dalla presenza di una situazione di fatto difforme da quella di diritto, nonché dall'errore scusabile della parte o del terzo che abbiano confidato nello schema apparente, sia la forma dell'apparenza colposa contraddistinta, oltre che dalla presenza dei suindicati elementi, anche dalla colpa del soggetto contro cui l'apparenza è invocata — non integra un istituto a carattere generale con connotazioni definite e precise, ma, al contrario, opera nell'ambito dei singoli negozi giuridici, secondo il vario grado di tolleranza di questi in ordine alla prevalenza dello schema apparente su quello reale. In particolare, per quanto attiene alla rappresentanza negoziale, nel mentre è irrilevante l'apparenza di diritto pura, che non può mai prevalere sul mancato conferimento dei poteri rappresentativi, dovendo in tal caso applicarsi la disciplina di cui agli artt. 1398 e 1399 c.c., può assumere, invece, rilievo l'apparenza colposa, nel caso in cui si accerti un malizioso o negligente comportamento del rappresentato apparente tale da far presumere la volontà di conferire al procuratore i suddetti poteri. Peraltro, anche quest'ultima forma di apparenza deve ritenersi inoperante nel caso in cui sia individuabile una colpa inescusabile nel soggetto che versa in errore; colpa la quale sussiste sia qualora tale errore avrebbe potuto essere evitato mediante l'impiego della normale prudenza nella condotta degli affari, ovvero l'utilizzazione appropriata degli strumenti legali di pubblicità, sia nell'ipotesi in cui il conferimento dei poteri rappresentativi debba assumere la forma scritta ad substantiam. (Nella specie la Suprema Corte, enunziando i principi di cui in massima, ha escluso l'applicabilità dell'istituto dell'apparenza colposa al fine di ritenere sussistente un mandato a vendere un bene immobile).