(massima n. 1)
La capacità di intendere e di volere del minore che abbia compiuto quattordici anni, ma non ancora i diciotto deve essere accertata dal giudice di merito che, nell'esprimere il suo giudizio di fatto sul punto deve tener conto di una molteplicità di fattori correlati agli aspetti psicologici e fisici dell'evoluzione del minore, alle sue condizioni socio-ambientali e familiari, al grado di istruzione e di educazione, alla natura dei reati commessi, al comportamento processuale. Pertanto, da un lato detta indagine non può prescindere normalmente dalle speciali ricerche previste dall'art. 11 del r.d.l. 20 luglio 1934, n. 1404, dall'altro non può essere trascurata la natura del reato commesso, in quanto il livello di discernimento varia a seconda della natura dell'illecito, del bene giuridico offeso e della struttura della fattispecie criminosa. Ne consegue che risulta congruamente motivato il giudizio sulla maturità del minore allorché il giudice di merito, pur tenendo espressamente conto del deficit intellettivo globale ritenuto dai periti, abbia valutato la personalità del minore ed abbia spiegato che gli accertamenti peritali non possono condurre ad un giudizio di immaturità sia perché lo sviluppo noetico, affettivo e cognitivo del minore stesso, nonostante quei fattori negativi era pur sempre tale da rendere immediatamente percepibile il valore dell'atto criminoso (matricidio) sia perché il comportamento dell'imputato era una chiara manifestazione della comprensione dell'illecito commesso, come risultò dal fatto che immediatamente dopo il reato lo stesso chiese ai familiari di chiamare i carabinieri. Infatti, il vizio parziale di mente è compatibile con la ritenuta maturità del minore.