(massima n. 1)
L'attivo ravvedimento del reo, di cui all'art. 62 n. 6 seconda parte c.p., deve mirare ad elidere o ad attenuare le conseguenze dannose o pericolose del reato, per tali intendendosi quelle conseguenze che da un lato siano estranee all'esecuzione e alla consumazione del reato e dall'altro siano strettamente inerenti alla lesione o alla messa in pericolo del bene specificamente tutelato dalla norma incriminatrice, e innanzi tutto derivino in via diretta e immediata dalla condotta posta in essere dal reo sino all'arresto o alla sua scoperta. Ne risulta che esulano dalla previsione della citata norma le chiamate in correitą che abbiano consentito l'interruzione della permanenza del reato ovvero, attraverso l'individuazione dei complici, il compimento di ulteriori delitti, ma non anche l'eliminazione delle conseguenze della condotta criminosa tenuta dal chiamante in correitą. Al contrario, quelle considerate dall'art. 73 d.p.r. n. 309 del 1990 in tema di reati in materia di stupefacenti non si riducono alle conseguenze immediatamente scaturite dal fatto cosģ come realizzato, in un dato momento, dal reo, ma si riferiscono anche alla protrazione, e quindi alla permanenza, del reato, ovvero alla possibile consumazione di successivi delitti che del primo integrino lo sviluppo. Ne consegue che, in base all'articolo citato da ultimo, e diversamente dall'art. 62 n. 6 c.p., possono concretare l'attenuante in esame anche le confessioni e le chiamate in correitą le quali consentano l'interruzione del protrarsi del reato o la scoperta di complici, ma non quelle che siano prive di riscontri estrinseci o che conducano soltanto a rafforzare il quadro probatorio a carico dei principali responsabili gią identificati, o all'identificazione dei soggetti aventi un ruolo soltanto secondario nell'ambito della complessiva economia criminosa gią accertata.