(massima n. 1)
Il reato di offese alla religione dello Stato mediante vilipendio di persone, di cui all'art. 403 c.p., non può assolutamente dirsi abrogato dal nuovo concordato tra lo Stato italiano e la Santa Sede per il fatto che le altre parti abbiano concordemente ritenuto che la religione cattolica apostolica romana non è più la religione dello Stato, ma libera religione al pari degli altri culti ammessi nello Stato medesimo. Ciò perché, anche se tale reato risale ad un tempo in cui diverso era il contesto sociale e politico, non può affermarsi, solo per quanto sopra detto, che lo Stato non accordi più, alla religione della stragrande maggioranza degli italiani, quella protezione che, per effetto del successivo art. 406 c.p. (delitti contro i culti ammessi nello Stato), tuttora accorda agli altri culti ammessi, di minore diffusione. Inoltre può rilevarsi, con richiamo al principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, che la minor pena prevista per chi pubblicamente offende un culto diverso dalla religione cattolica non lede tale principio, ma rientra nel potere insindacabile e discrezionale del legislatore e trova comunque giustificazione nella maggior diffusione di quella religione rispetto al primo.