(massima n. 1)
In tema di successione di norme penali nel tempo, qualora trattisi di norme penali «in bianco» (fra le quali rientra l'art. 348 c.p., che punisce l'esercizio abusivo di professioni richiedenti una speciale abilitazione dello Stato), la disciplina dettata dall'art. 2 c.p. può venire in considerazione solo in presenza di una modifica della norma richiamata da quella incriminatrice che incida sulla struttura di quest'ultima o, quanto meno, sul disvalore in essa espresso, come si verifica, in particolare, allorché è la stessa norma di riferimento a individuare la fattispecie penale, di tal che la sua abrogazione si traduce in una vera e propria abolitio criminis. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la Corte ha ritenuto che, avuto riguardo alla sopravvenuta disciplina dettata dall'art. 7 della legge n. 479/1999, in base alla quale i praticanti avvocati che abbiano conseguito la necessaria abilitazione possono svolgere attività difensiva davanti al tribunale in composizione monocratica, non potesse più essere qualificata come reato, ex art. 348 c.p., la condotta di un soggetto che, prima dell'entrata in vigore di detta legge, essendo abilitato solo al patrocinio davanti alla pretura, aveva svolto attività defensionale davanti ad un tribunale).