(massima n. 1)
Nel vigente ordinamento penale l'ammissibilità del tentativo punibile è esclusa soltanto con riguardo a tre categorie di reati: a) i reati contravvenzionali, riferendosi l'art. 56 c.p. solo ai “delitti”; b) i reati c.d. a consumazione anticipata, nei quali, consistendo la condotta tipica nel compiere atti o usare mezzi diretti all'offesa del bene giuridico, ciò che costituisce il minimum per l'esistenza del tentativo dà già luogo a consumazione; c) i reati colposi, mancando in essi l'intenzione (senza la quale il tentativo non può esistere), di realizzare l'evento previsto dalla norma incriminatrice. Ne consegue che è giuridicamente configurabile il tentativo anche per i delitti c.d. “unisussistenti”, cioè quelli che unico actu perficiuntur, con la sola avvertenza che non può trattarsi di tentativo “incompiuto”, postulando questo l'interruzione dell'attività esecutiva volta alla realizzazione dell'evento, ma deve necessariamente trattarsi di tentativo “compiuto” in cui, nonostante l'esaurimento di detta attività, l'evento non si verifica. È compito del giudice di merito riscontrare la sussistenza o meno, in concreto, di tale ipotesi. (Nella specie, in applicazione di tali principi, la S.C., risolvendo un conflitto di competenza, ha ritenuto, con riguardo al delitto di indebita utilizzazione di carta di credito o di pagamento da parte di chi non ne sia titolare, previsto dall'art. 12, prima parte, del D.L. 3 maggio 1991 n. 143, convertito, con modificazioni, in L. 5 luglio 1991 n. 197, che correttamente fosse stato qualificato, da uno dei due giudici in conflitto, come reato consumato e non come tentativo il fatto attribuito all'imputato, consistente nell'aver questi consegnato all'addetto alla riscossione del pedaggio autostradale una tessera “viacard” di cui non era titolare, costituendo già tale condotta una “utilizzazione” indebita del documento).