(massima n. 1)
Il riconoscimento della sussistenza dell'esimente dell'adempimento del dovere, nell'ipotesi di un cittadino che collabori ad un operazione di polizia nella veste di “agente provocatore”, è subordinato all'accertamento che egli non travalichi, nella propria condotta, i limiti di un'attività di mero controllo, osservazione e contenimento della condotta criminosa altrui. (Nella fattispecie, relativa ad operazione antidroga compiuta con l'aiuto di un privato, e dunque fuori dal caso previsto dall'art. 97 D.P.R. n. 309 del 1990, la Corte ha ritenuto che l'agente provocatore, oltrepassando i limiti nel principio definiti, abbia svolto un'opera di istigazione al reato, e che pertanto, dovendo egli essere escusso nel corso dette indagini preliminari successive, avrebbe dovuto essere sentito, sin dall'inizio, in qualità di indagato, con la conseguenza dell'inutilizzabilità delle dichiarazioni da lui rese in qualità di testimone nei confronti dei terzi).