(massima n. 1)
Il potere, attribuito al giudice dall'art. 641, secondo comma, c.p.c., di ridurre o aumentare il termine entro il quale il debitore può proporre opposizione al decreto ingiuntivo «se concorrono giusti motivi» non si sottrae all'obbligo di motivazione imposto, dal primo comma dello stesso articolo («con decreto motivato»), per l'emissione del provvedimento di ingiunzione se esistono le condizioni previste dall'art. 633 c.p.c. Tale obbligo di motivazione, come non impone al giudice l'esplicazione delle ragioni che hanno determinato l'accoglimento del ricorso, venendo di regola soddisfatto con rinvio ai motivi addotti dal ricorrente, che vengono portati a conoscenza del debitore ingiunto con la notifica dell'atto di ingiunzione, integrando per relationem il decreto stesso, così, per i motivi che consentono la modifica della durata del termine, ed anche le ragioni che li caratterizzano come «giusti» comporta che risultino enunciati nel provvedimento, quantomeno con rinvio, ancorché implicito, alle condizioni che ne giustificano la sussistenza, le quali devono esser specificamente rappresentate dal creditore nel testo del ricorso, sì che possa ritenersi che il giudice le abbia lette, vagliate e, quindi, accolte. La modifica del detto termine, infatti, costituente eccezione alla regola ordinaria che lo fissa in quaranta giorni, siccome destinata ad incidere, in ragione della sua perentorietà, sul diritto di difesa del debitore ingiunto, in tanto può essere disposta in quanto questi possa percepire l'esistenza dei giusti motivi che deviano in concreto il momento introduttivo del giudizio di cognizione dal suo modello astratto.