(massima n. 1)
Nell'indagine volta a controllare se il titolo posto a base dell'esecuzione forzata ai sensi dell'art. 612 c.p.c. abbia il requisito della liquidità, va distinta la condanna a fare un quid novi da quella che disponga di fare alcunché per il ripristino della situazione anteriormente esistente, giacché nella prima ipotesi il giudice di cognizione deve precisare in tutte le sue modalità la prestazione dovuta, la cui concretezza non può essere desunta che dal giudicato, mentre nella seconda ipotesi l'ordine di fare trova nella situazione anteriore da ripristinare il necessario modello di raffronto, da cui è dato desumere la misura, la portata e i limiti del quid faciendum. Pertanto il pretore, adito quale giudice dell'esecuzione per la determinazione delle modalità di attuazione dell'obbligo di reintegrazione nel possesso di una servitù, non esorbita dai limiti segnati ai suoi poteri dall'art. 612 c.p.c. qualora determini le opere necessarie per il ripristino dello stato di fatto preesistente allo spoglio, disponendo anche l'eliminazione di quelle che tale stato avevano alterato, perché solo in tal modo può aver luogo il detto ripristino, così come ordinato dal titolo esecutivo.