(massima n. 1)
Nel rito del lavoro il potere, conferito al giudice dall'art. 432 c.p.c., di liquidare con valutazione equitativa la somma dovuta al lavoratore quando sia certo il relativo diritto, può essere esercitato dal giudice del merito soltanto nell'ipotesi in cui sia individuata, con adeguata e corretta motivazione, l'obiettiva impossibilità di una determinazione certa dell'importo della somma dovuta alla stregua degli elementi acquisiti al processo. Nell'esercizio di tale potere, che è discrezionale e non già arbitrario, il giudice è tenuto a dare congrua ragione del processo logico attraverso il quale perviene alla liquidazione del quantum debeatur, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo. (In base al suddetto principio la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che dopo aver escluso sia la natura subordinata del rapporto sia l'esistenza di una specifica pattuizione sulle spettanze della lavoratrice ha determinato in via equitativa il relativo compenso facendo riferimento non ai parametri di determinazione della retribuzione di cui all'art. 36 Costituzione — riguardante esclusivamente il lavoro subordinato — ma ai parametri oggettivi di cui all'art. 2225 c.c. e, cioè, tenendo conto dei risultati che la lavoratrice perseguiva con la propria prestazione e del lavoro necessario per ottenere tali risultati).