(massima n. 2)
Il mancato esercizio dei poteri istruttori del giudice (previsti, nel rito del lavoro, dall'art. 421 c.p.c.), anche in difetto di espressa motivazione sul punto, non č sindacabile in sede di legittimitą se non si traduce un vizio di illogicitą della sentenza; la deducibilitą della omessa attivazione dei poteri istruttori come vizio motivazionale e non come errore in procedendo, impedendo al giudice di legittimitą l'esame diretto degli atti, impone al ricorrente che muova alla sentenza impugnata siffatta censura di riportare testualmente, in omaggio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, tutti quegli elementi (emergenti dagli atti ed erroneamente non presi in considerazione dal giudice di merito) dai quali era desumibile la sussistenza delle condizioni necessarie per l'esercizio degli invocati poteri. In particolare, il ricorrente deve riportare in ricorso gli atti processuali dai quali emergeva l'esistenza di una «pista probatoria», ossia l'esistenza di fatti o mezzi di prova idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisivitą (rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l'officiosa attivitą di integrazioni e istruttoria demandata al giudice di merito), e deve altresģ allegare di avere nel giudizio di merito espressamente e specificamente richiesto l'intervento officioso, posto che, onde non sovrapporre la volontą del giudicante a quella delle parti in conflitto di interessi e non valicare il limite obbligato della terzietą, č necessario che l'esplicazione dei poteri istruttori del giudice venga specificamente sollecitata dalla parte con riguardo alla richiesta di una integrazione probatoria qualificata.