(massima n. 1)
L'art. 338 c.p.c., nello stabilire che la estinzione del procedimento di appello fa passare in giudicato la sentenza impugnata, fa salvi i soli casi in cui, di quest'ultima, risultino «modificati gli effetti» con provvedimenti pronunciati nel corso del procedimento estinto, operando, così, un riferimento esclusivo ad atti (le sentenze non definitive, processuali o di merito, pronunciate in appello) di carattere non meramente ordinatorio che abbiano inciso sulle statuizioni della sentenza di primo grado, operandone una sostituzione ovvero una parziale modificazione. Non integra gli estremi di tali ipotesi la sentenza di appello che, limitandosi a dichiarare l'incompetenza del tribunale, non pone alcuna premessa per la prosecuzione del processo fino alla decisione nel merito, ma rende soltanto incontestabile l'incompetenza dichiarata — salva l'impugnazione della relativa pronuncia — e la competenza del giudice da essa indicata in caso di tempestiva riassunzione del procedimento. (Principio affermato dalla S.C. con riferimento ad una pronuncia del giudice di appello dichiarativa della incompetenza del tribunale che aveva, nella specie, rigettato un'opposizione a decreto ingiuntivo dichiarandolo esecutivo. La Corte ha, ancora, stabilito che, alla sentenza di appello, non poteva riconoscersi l'effetto di un implicito riconoscimento dell'inefficacia del decreto ingiuntivo opposto, potendo tale effetto essere determinato solo dal giudice del rinvio a seguito della trasmigratio iudicii, non verificatasi la quale, per mancata riassunzione del giudizio dinanzi a quest'ultimo, l'unica conseguenza processuale risultava l'estinzione del procedimento di appello ed il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado).