(massima n. 1)
In tema di concordato fallimentare, proposto (nella specie, dal curatore) nella vigenza del d.l.vo n. 5 del 2006 e prima del d.l.vo n. 169 del 2007, in una procedura di fallimento disciplinata, ad ogni altro effetto, dal testo originario del r.d. n. 267 del 1942, perchè aperta anteriormente all'entrata in vigore del cit. d.l.vo n. 5 ed ai sensi dell'art. 150 dello stesso, il parere che il comitato dei creditori è chiamato a rendere, su richiesta del giudice delegato ed avendo riguardo ai presumibili risultati della liquidazione, non è regolato più specificamente ai sensi dell'art. 125 legge fall. e dunque le sue modalità di espressione fanno rinvio implicito all'art. 41 legge fall. il quale, anche dopo i menzionati interventi di riforma, non esige che tale organo sia convocato per emettere una delibera collegiale, mentre una succinta motivazione è stata richiesta solo con il d.l.vo n. 5 del 2006; ne consegue che il parere può risultare anche da separate dichiarazioni dei suoi singoli componenti ed eventualmente, allorchè si tratti - come nella specie - di organo già costituito prima di tale modifica normativa, può manifestarsi anche col silenzio - assenso, nel caso in cui la richiesta sia stata formulata con l'avvertenza che la mancata manifestazione del parere entro un termine stabilito sarà considerata come parere favorevole. Al relativo funzionamento si applica, infatti, ai sensi dell'art. 150 cit., la disciplina dell'art. 41 legge fall. nel testo anteriore, apparendo irragionevole che il comitato sia tenuto ad esprimersi, nella medesima procedura, con regole diverse, tanto più che, in ogni caso, l'intervenuta approvazione del concordato da parte dei creditori - cui soltanto spetta ogni valutazione di convenienza - determina la sanatoria di ogni irregolarità del predetto parere, unico vizio in cui incorrerebbe se anche privo di motivazione.