(massima n. 2)
Il giudice, chiamato ad applicare una legge di interpretazione autentica, non può qualificarla come innovativa e circoscriverne temporalmente, in contrasto con la sua "ratio" ispiratrice, l'area operativa, perchè finirebbe in tal modo per disapplicarla, mentre l'autorità imperativa e generale della legge gli impone di adeguarvisi, il che delinea il confine in presenza del quale ogni diversa operazione ermeneutica deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale. (In applicazione del principio la S.C. ha dichiarato d'ufficio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 7 e 8 del D.L. 24 novembre 2000, n. 341, convertito dalla legge 19 gennaio 2001, n. 4, in riferimento agli articoli 3 e 117, comma primo, della Costituzione - quest'ultimo in relazione all'articolo 7 della Convenzione EDU-, «nella parte in cui le disposizioni interne operano retroattivamente, e, più specificamente, in relazione alla posizione di coloro che, pur avendo formulato richiesta di giudizio abbreviato nella vigenza della sola legge n. 479 del 1999, sono stati giudicati successivamente, quando cioè, a far data dal pomeriggio del 24 novembre 2000 - pubblicazione della Gazzetta Ufficiale, ai sensi dell'art. 2 r.d. n. 1252 del 7 giugno 1923 -, era entrato in vigore il citato D.L., con conseguente applicazione del più sfavorevole trattamento sanzionatorio previsto dal medesimo decreto», ritenendo impraticabile un'interpretazione della predetta normativa interna conforme all'articolo 7 Convenzione EDU, nell'interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo). (Annulla senza rinvio, Trib. Spoleto, 13/09/2011).