(massima n. 1)
A norma dell'art. 253 c.p.p., la legittimità del sequestro probatorio postula che il vincolo di temporanea indisponibilità sia imposto soltanto ai beni qualificabili come corpo di reato o cose pertinenti al reato. La nozione di corpo di reato, definito dalla norma con una dizione che ripete, nella sostanza, quella relativa alla confisca — art. 240 c.p. — comprende i corpora delicti ed i producta sceleris, cioè cose che sono in rapporto diretto ed immediato con l'azione delittuosa. La nozione di cose pertinenti al reato è necessariamente generica, invece, in quanto comprende tutte quelle res che sono in rapporto indiretto con la fattispecie concreta e sono strumentali, secondo i principi generali della libera prova e del libero convincimento del giudice, all'accertamento dei fatti. In tale dizione vanno ricomprese, quindi, le cose necessarie sia alla dimostrazione del reato e delle modalità di preparazione ed esecuzione, sia alla conservazione delle tracce, all'identificazione del colpevole, all'accertamento del movente ed alla determinazione dell'ante factum e del post factum, comunque ricollegabili al reato, pur se esterni all'iter criminis, purché funzionali alla finalità perseguita, cioè all'accertamento del fatto e all'individuazione dell'autore. Consegue che l'obbligo di motivazione si traduce, sia per il pubblico ministero, in ordine al decreto di sequestro ed al decreto di convalida, sia per il giudice del riesame, nell'indicazione delle finalità preventiva o probatoria del sequestro e nella dimostrazione dell'esistenza del rapporto diretto o pertinenziale tra cosa sequestrata e delitto ipotizzato. Poiché questo rapporto può essere dimostrato soltanto in concreto, la norma postula l'esigenza, non solo dell'indicazione delle norme violate, ma anche e soprattutto di specificazione della fattispecie.