(massima n. 1)
L'art. 112 c.p.c., stabilendo che il giudice non deve oltrepassare i limiti della domanda, si applica, quale disposizione generale contenuta nel primo libro del codice di rito, anche all'appello, come ad ogni altro procedimento d'impugnazione. Sicché, quando l'appello sia stato diretto ad ottenere la condanna ad una prestazione (divisibile) in misura maggiore di quella riconosciuta dal giudice di primo grado, la mancata impugnazione della parte condannata produce un effetto preclusivo che, pur non potendo dirsi di giudicato in senso proprio, comporta tuttavia che la sentenza impugnata possa essere modificata esclusivamente per corrispondere all'unica impugnazione ed impedisce che operi in danno dell'appellante — con riforma in peggio — un'eventuale, sopravvenuta innovazione normativa, pur se espressamente dichiarata applicabile «anche ai procedimenti in corso non definiti con sentenza passata in giudicato» (principio affermato in relazione ad ipotesi di accessione invertita, con sopravvenienza nel corso del giudizio dell'art. 5 bis, settimo comma bis, della legge n. 359 del 1992).