(massima n. 1)
Al giudice compete soltanto il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire, anche in difformità rispetto alla qualificazione della fattispecie operata dalle parti, il nomen iuris al rapporto dedotto in giudizio, con la conseguenza che il giudice stesso può interpretare il titolo su cui si fonda la controversia e anche applicare una norma di legge diversa da quella invocata dalla parte interessata, ma, onde evitare di incorrere nel vizio di ultrapetizione, deve lasciare inalterati sia il petitum che la causa petendi senza attribuire un bene diverso da quello domandato e senza introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto. (In applicazione di questi principi, la Corte ha escluso che potesse qualificarsi come istanza di riduzione per lesione di legittima una domanda qualificata dalla parte come petizione di eredità e, in secondo grado, come rivendicazione, per il difetto, anche nelle deduzioni dell'attrice, dei presupposti essenziali di questa domanda, e cioè l'esistenza di una disposizione testamentaria o di una donazione e l'allegazione che, a causa di esse, il legittimario aveva subito una riduzione della sua quota di legittima spettantegli per legge).