(massima n. 1)
L'art. 727 c.p. tutela l'animale, come essere vivente, da tutte quelle attività dell'uomo, che possano comportare l'inflizione di un dolore, che superi la normale soglia di tollerabilità. Rientrano nella fattispecie tutte quelle condotte, che siano manifestazione di tortura o di sottoposizione a fatica — qualora le sofferenze inflitte siano non indispensabili ovvero superiori a quelle ordinariamente praticabili — o che comunque si rivelino espressione di crudeltà, intesa nel senso di particolare compiacimento o di insensibilità. Ne deriva che, se per necessità debba essere data la morte ad un animale, il mezzo da usare deve essere scelto tra quelli più idonei ad evitare inutili patimenti e a non ingenerare ripugnanza. Non presenta tale carattere l'uccisione, realizzata con uno o più colpi di badile, sia perché siffatto metodo rivela totale carenza di comprensione verso le bestie, sia perché determina ripulsa nell'uomo, che vi assiste.