(massima n. 1)
L'istituto della legittimazione ad agire o a contraddire in giudizio (legittimazione attiva o passiva) si ricollega al principio dettato dall'art. 81 c.p.c., secondo cui nessuno può far valere nel processo un diritto altrui in nome proprio fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, e comporta — trattandosi di materia attinente al contraddittorio e mirandosi a prevenire una sentenza inutiliter data — la verifica, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo (salvo che sulla questione sia intervenuto il giudicato interno) e in via preliminare al merito (con eventuale pronuncia di rigetto della domanda per difetto di una condizione dell'azione), circa la coincidenza dell'attore e del convenuto con i soggetti che, secondo la legge che regola il rapporto dedotto in giudizio, sono destinatari degli effetti della pronuncia richiesta. Dalla questione relativa alla legittimazione si distingue quella relativa alla effettiva titolarità del rapporto giuridico dedotto in causa, che non può essere rilevata d'ufficio dal giudice dell'impugnazione in difetto di specifico gravame. (Nella specie la S.C. ha ritenuto legittimo il rilievo da parte del giudice d'appello di un difetto di legittimazione passiva evidenziato dalla stessa prospettazione dei fatti contenuta nella citazione introduttiva del giudizio, in un caso in cui l'acquirente di un bene immobile aveva fatto valere la garanzia per i vizi della cosa venduta, chiedendo la riduzione del prezzo, non solo nei confronti del venditore ma anche di soggetto che, nonostante talune particolarità delle vicende, risultava qualificabile solo quale rappresentante dello stesso venditore).