(massima n. 2)
In tema di fallimento, l'esigenza di assicurare la terzietà e l'imparzialità del tribunale fallimentare, emergente da un'interpretazione sistematica della legge fallimentare (così come modificata dal d.lgs. 9 gennaio 2009, n. 5) ed in particolare degli artt. 6 e 7, letti alla luce del novellato art. 111 Cost., porta ad escludere che l'iniziativa del P.M. ai fini della dichiarazione di fallimento possa essere assunta in base ad una segnalazione proveniente dallo stesso tribunale fallimentare, in tal senso deponendo, oltre alla soppressione del potere di aprire d'ufficio il fallimento ed alla riduzione dei margini d'intervento del giudice nel corso della procedura, anche il n. 2 dell'art. 7 cit., che limita il potere di segnalazione del giudice civile all'ipotesi in cui l'insolvenza risulti, nei riguardi di soggetti diversi da quelli destinatari dell'iniziativa, in un procedimento diverso da quello rivolto alla dichiarazione di fallimento, nonché dagli interventi correttivi del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169, che hanno reso totalmente estranea al sistema l'ingerenza dell'organo giudicante sulla nascita o l'ultrattività della procedura. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, con cui era stata dichiarata nulla la dichiarazione di fallimento intervenuta ad iniziativa del P.M., al quale il tribunale fallimentare aveva trasmesso gli atti a seguito della desistenza del creditore dalla propria istanza).