(massima n. 1)
In tema di molestia o disturbo alle persone (art. 660 c.p.), se, per un verso, deve ritenersi la configurabilità del reato anche quando l'agente esercita, o crede di esercitare, un proprio diritto, in modo tale, tuttavia, da rivelare l'esistenza di uno specifico malanimo che si traduce in un mero dispetto arrecato per «biasimevole motivo» per altro verso deve escludersi che tale condizione possa essere ritenuta sussistente per il solo fatto che la condotta sia o possa apparire oggettivamente molesta (nel senso di «fastidiosa» o «irritante») a chi la subisce, richiedendosi invece che tale sua caratteristica le venga impressa senza alcuna plausibile ragione strumentalmente ricollegabile all'effettivo esercizio del preteso diritto; ragione che può consistere anche nell'intento di rendere manifesta la propria volontà di avvalersi di quel diritto, a fronte di chi non intenda riconoscerlo. (Nella specie, in applicazione di tale principio, la Corte ha escluso che potesse costituire reato di molestie la condotta consistita nell'avere l'imputato, — a fronte dell'asserito parziale spoglio di una servitù di passaggio che gli avrebbe consentito di accedere senza ostacoli ad un'area adibita a parcheggio condominiale —, sistematicamente lasciata aperta, quando ciò poteva essere visto dagli altri condomini, la sbarra comandata elettricamente che era stata installata all'ingresso dell'area anzidetta).