(massima n. 1)
È configurabile il reato di truffa, nella specie contrattuale, quando il dolus in contrahendo si manifesta attraverso artifici o raggiri che, intervenendo nella formazione del negozio, inducono la controparte a prestare il proprio consenso e cioè, quando sussiste un rapporto immediato di cause ad effetto tra il mezzo o l'espediente fraudolentemente usato dall'agente e il consenso ottenuto dal soggetto passivo, sì che questo risulta viziato nella sua libera determinazione. (Nella specie, la parte offesa, fornitrice all'ingrosso di carne, non si era vista saldare il proprio credito dall'imputato, all'esito della relativa prestazione, la quale faceva parte di un regolare rapporto commerciale sempre onorato dall'imputato stesso. La Corte ha escluso la sussistenza della truffa, confermando la sentenza di secondo grado che aveva assolto l'imputato perché il fatto non costituisce reato, in quanto la parte offesa si era determinata alle conclusioni del contratto di fornitura non per le iniziali ostentazioni di ricchezza dell'imputato, ma solo a seguito delle positive informazioni bancarie ricevute, rivelatesi esatte in un primo tempo e che tale comportamento prudenziale aveva continuato a tenere nel corso dello svolgimento del rapporto contrattuale, escludendo, così, che l'artificio posto in essere dall'agente all'inizio delle trattative fosse idoneo a suggestionare o in qualche modo influenzare la libertà del consenso della parte offesa).