(massima n. 1)
Un inventario di eredità beneficiata non costituisce di per sé, ossia automaticamente, strumento idoneo a vincere la presunzione di esistenza di gioielli e mobilia di cui all'art. 31 della legge sulle successioni (R.D. 30 dicembre 1923, n. 3270), ancorché non impugnato agli effetti civilistici del beneficiario. Tale articolo fa riferimento agli inventari (di tutela o di eredità beneficiata o fallimentare, o compiuti in seguito ad apposizione di sigilli), in quanto essi rappresentano utili mezzi di prova dell'effettiva entità dei beni mobili del de cuius, sempre però che dagli stessi risulti incontestabilmente provato un valore minore, o maggiore di quello presunto, ovvero l'inesistenza assoluta di gioielli, denaro, mobili. L'amministrazione finanziaria, pertanto, ad evitare evasioni fiscali, può sempre contestare la regolarità, la completezza e la veridicità dell'inventario. (Nella specie, quasi tutti i beni mobili esistenti nell'abitazione del de cuius erano stati esclusi senza descriverli dall'inventario, in quanto ritenuti di proprietà della vedova, in violazione del precetto dell'art. 775 ultimo comma, c.p.c.; la Cassazione ha rilevato che, stante la presunzione di proprietà dei mobili rinvenuti nell'abitazione del defunto, con conseguente inclusione nell'asse ereditario, la mancata completa elencazione di quanto in essa si trovava rendeva impossibile il controllo sul numero, natura, appartenenza dei beni relitti, sicché esattamente la corte del merito aveva ritenuto di dover far capo alla presunzione di cui all'art. 31 cit. nonostante la redazione dell'irrituale inventario).