(massima n. 1)
La clausola compromissoria cosiddetta binaria, che devolva determinate controversie alla decisione di tre arbitri, due dei quali da nominare da ciascuna delle parti, ed il terzo, in caso di disaccordo, dal presidente del tribunale, può trovare applicazione in una lite con pluralità di parti, e, quindi, può configurare una deroga convenzionale alla competenza dell'autorità giudiziaria, solo quando, in base ad una valutazione da compiersi — a posteriori — risulti lo spontaneo raggruppamento degli interessi in gioco in due soli gruppi omogenei e contrapposti, cioè in due sole parti sostanziali, e sempreché tale raggruppamento sia compatibile con il tipo di azione proposta in giudizio, in quanto, ove l'azione stessa, secondo la generale e astratta previsione del legislatore, introduca un litisconsorzio necessariamente caratterizzato dalla presenza di più di due centri autonomi di interessi, non riconducibili nella suddetta previsione bipolare, resta irrilevante ogni eventuale anomalo affiancamento degli atteggiamenti difensivi di parti contrapposte, derivante da valutazioni peculiari estranee alla struttura ed alla regolamentazione normativa dell'azione medesima. Pertanto deve escludersi l'operatività di quella clausola con riguardo alla controversia promossa da uno o più soci di una società di persone, a norma dell'art. 2259 terzo comma c.c., per conseguire la revoca dell'amministratore in relazione a fatti di cattiva gestione in pregiudizio della società, poiché, rispetto a tale domanda, l'amministratore revocando e la società (ovvero, in difetto di vocatio della stessa, tutti gli altri soci), ancorché assumano in concreto un atteggiamento di comune difesa, costituiscono due parti necessariamente distinte, alla stregua della sopra indicata valutazione della natura intrinseca della domanda stessa, in quanto portatrici di interessi contrapposti, sicché la lite acquista una consistenza almeno tripolare, ostativa alla applicabilità del meccanismo binario di nomina degli arbitri.